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‘Ndrangheta, arrestati i presunti omicidi di Luca Bruni
Il figlio del boss “bella bella” ucciso in uno scontro di potere
Due arresti e una persona ancora ricercata. Questo il bilancio dell’operazione che ha fatto luce sulla morte di Luca Bruni figlio del boss Francesco detto “Bella bella”. La morte decisa dai clan Rango-Zingari
COSENZA – Nuovo scacco al clan degli zingari di Cosenza, nelle prime ore del mattino, infatti, i Carabinieri e la Squadra Mobile di Cosenza hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Maurizio Rango, 38 anni, e di Franco Bruzzese, 47 anni, ritenuti i “reggenti” della cosca di ‘ndrangheta “Rango- Zingari”, attiva in tutta la provincia di Cosenza.
Secondo quanto chiarito dagli inquirenti i due sono sospettati di concorso in omicidio pluriaggravato, porto e detenzione illegale di armi e occultamento di cadavere, reati tutti aggravati dalle metodologie mafiose. La vittima dell’omicidio è Luca Bruni (LEGGI LA NOTIZIA DEL RITROVAMENTO DEL SUO CADAVERE), di cui si sono perse le tracce il 3 gennaio 2012. I provvedimenti sono stati emessi sulla scorta delle indagini coordinate dal Procuratore Vincenzo Lombardo, dai procuratori aggiunti Vincenzo Luberto e Giovanni Bombardieri e dal sostituto procuratore Pierpaolo Bruni e condotte dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo e dalla Squadra Mobile.
L’indagine era stata avviata dopo la denuncia di scomparsa di Luca Bruni, avvenuta il 3 gennaio 2012, poco prima scarcerato e assunto al vertice del proprio gruppo a seguito della prematura scomparsa del fratello Michele, che stava tentando di organizzarsi per ampliare il raggio d’azione degli interessi illeciti della propria cosca, evidentemente in contrasto con gli accordi già stabiliti da un ”patto” intercorso tra la cosca degli “italiani” con quella degli “zingari”, la prima capeggiata da Ettore Lanzino e verso la quale, spiegano gli inquirenti, lo stesso Bruni nutriva un forte risentimento ritenendola “storicamente” responsabile della morte del padre Francesco, inteso come “bella bella”, e la seconda retta, nel periodo storico di riferimento, da Franco Bruzzese.
L’indagine ha tratto vantaggio anche dal contributo di alcuni collaboratori di giustizia come Adolfo Foggetti, ed ha consentito di raccogliere indizi di colpevolezza nei confronti degli arrestati che avrebbero agito in concorso tra loro, con premeditazione ed al fine di agevolare l’attività delittuosa della cosca mafiosa di riferimento. I due avrebbero attirato la vittima in un tranello, ordito facendogli credere di partecipare a un incontro al vertice dell’organizzazione mafiosa con gli allora latitanti Ettore Lanzino e Franco Presta per poi ucciderlo a colpi di arma da fuoco. Una volta ucciso i due avrebbero nascosto il cadavere che poi è stato rinvenuto dagli inquirenti a distanza di alcuni anni.
Ai due si aggiunge anche una terza persona, Daniele Lamanna, 40 anni, esponente di spicco dello stesso gruppo criminale e destinatario dello stesso provvedimento che però si è reso irreperibile ed è allo stato ricercato.odierne.
mercoledì 18 marzo 2015 11:22
http://www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/735276/-Ndrangheta–arrestati-i-presunti.html
Tela del Ragno – Foggetti: «La responsabile era Nella Serpa»
marzo 15, 2015
Concluso il processo “Tela del Ragno”, per gli inquirenti paolani si paventa la possibilità di un procedimento “bis”. Già anticipata dal Pm Eugenio Facciolla durante la sua requisitoria, l’esigenza di una nuova inchiesta è emersa grazie alle confessioni di Adolfo Foggetti, l’ultimo collaboratore di giustizia sorto dopo la retata che ha smantellato il clan degli zingari.
Facendo un riordino dello scambio di battute tra il magistrato ed il collaboratore, è possibile comprendere la sua ascesa criminale, gli interessi rappresentati per conto della cosca e i riferimenti precedenti e successivi al processo che ha cambiato i connotati della malavita paolana.
P.M.: «Lei prende posto diciamo su Paola, diventa in qualche modo il capo un po’ di tutte le attività che si svolgono su Paola… »; Adolfo Foggetti: «Tutte esclusa nessuna, diciamo anche se non… diciamo omicidi non ce ne sono stati»; P.M.: «Ecco, perché proprio Foggetti Adolfo? »; A. F.: «Su Paola io conoscevo il territorio, conoscevo… conosco cioè le persone che stanno sul paolano…»; P.M.: «E perché siete andati ad incontrare a Mario Serpa?»; A.F.: «Siamo andati lì ad incontrare a Mario Serpa per il fatto che lì si stava effettuando l’operazione diciamo del porto di Paola…dovevamo fare le spartizioni… e dice “Cetraro perché ce la chiude, Paola voi, perché siete di Paola e il porto è di Paola, San Lucido rientra con noi, perché sono amici nostri… e Cosenza per il fatto che ci sono Michele bella – bella…”»; P.M.: «Lei si è reso conto di… ha avuto modo di verificare i rapporti che diciamo c’erano nella fase successiva, dopo tela del ragno, tra Cosenza e Paola, cioè c’era qualcuno a Paola che ha preso il posto delle persone che noi abbiamo arrestato? »; A.F.: «Io per qualsiasi… cioè io quando ho diciamo di… che dovevo andare a Paola il duemila e undici a prendere… »; P.M.: «Si, i soldi per la fiera di San Francesco…»; A.F.: «…Questi soldi, per la fiera, in quanto noi avevamo difficoltà per gli arresti che avevamo subito, e io dovevo andare solo ed esclusivamente da Nella Serpa…»; P.M.: «E questo perché ve lo aveva detto qualcuno? O lo sapevate che…»; A.F.: «E io lo sapevo già dall’epoca che Nella Serpa… »;P.M.: «Eh, quindi lo sapevate»; A.F.: «…Cioè dopo la morte di suo fratello… anche se non ha mai diciamo fatto azioni, però è stata sempre responsabile, cioè…» P.M.: «Responsabile era lei»; A.F.: «Tutto il responsabile era lei, tutte cose che ci diceva lei, tutte cose che lei pagava… il punto di riferimento a Paola era Nella».
Francesco Frangella
Tela del ragno, condanne per oltre 100 anni
La decisione al termine di una lunga camera di consiglio. Le pene più severe per Gennaro Ditto, a cui il Tribunale di Paola ha inflitto l’ergastolo. Complessivamente sono state 28 le condanne e 14 le assoluzioni per l’inchiesta sui clan del Tirreno cosentino
Mercoledì, 11 Marzo 2015 19:39
PAOLA Un ergastolo, oltre cento anni di carcere e quattordici assoluzioni. La pena più severa è stata comminata a Gennaro Ditto, a cui è stata inflitta la detenzione a vita con l’isolamento. È la decisione assunta dal Tribunale di Paola in seduta collegiale – presidente Paola Del Giudice – e che dopo nove lunghe ore di camere di consiglio ha concluso così il primo grado del troncone con rito ordinario – celebrato davanti ai giudici togati della cittadina tirrenica – della maxioperazione contro le cosche egemoni del Cosentino. Un filone dell’inchiesta che riguardava reati avvenuti tra gli anni 90 e il 2000 lungo il Tirreno cosentino e vedeva alla sbarra 44 imputati (di cui due poi deceduti) accusati a vario genere di associazione mafiosa, per tre tentati omicidi, dieci estorsioni, numerose violazioni in materia di armi, furto della divisa e di un’arma in casa di un carabiniere, simulazione di reato, minacce e usura aggravata. Per questi reati la Corte ha così inflitto pene pesantissime superiori anche alle richieste dall’accusa, come nel caso, appunto, di Ditto, per cui il pm Eugenio Facciolla, titolare dell’inchiesta che aveva portato a disarticolare i clan operanti sia nel capoluogo bruzio che lungo il Tirreno cosentino, aveva chiesto 24 anni. La pena massima richiesta nella sua requisitoria del 12 febbraio scorso. Come anche per Mario Serpa condannato a 20 anni a fronte della richiesta di 15 anni.
Pesante anche la pena comminata a Francesco Tundis – ritenuto dagli inquirenti il boss dell’omonima cosca di Fuscaldo – condannato a 20 anni e 6 mesi di carcere. Mentre 15 anni sono stati inflitti a Giovanni Abruzzese (l’accusa ne aveva chiesto 17). Condanne anche per capi e gregari del clan Serpa di Paola a cominciare da Mario Serpa (20 anni) e Nella Serpa, 18 anni, ritenuta dagli inquirenti la reggente del cosca della cittadina tirrenica in assenza degli altri capostipiti della famiglia.
Si attenderanno ora le motivazioni di questa sentenza per la quale i legali degli imputati annuciano già ricorso.
L’OPERAZIONE
Nell’operazione – coordinata dalla Dda di Catanzaro e alla quale parteciparono nel marzo del 2012 500 militari, oltre a elicotteri e unità cinofile – furono eseguiti 58 arresti e il sequestro di beni per 15 milioni di euro. A finire nel mirino degli inquirenti, in particolare, furono i presunti capi e gregari del clan Perna-Cicero di Cosenza, Gentile-Africano-Besaldo di Amantea, Scofano-Martello-Rosa-Serpa di Paola, Carbone di San Lucido. Oltre alle cosche Tundis di Fuscaldo e Muto di Cetraro. Secondo la ricostruzione effettuata dalla Distrettuale, i clan –attraverso una fitta rete di connivenze – sarebbero riusciti negli anni a infiltrarsi nella ricca torta degli appalti pubblici i cui proventi illeciti sarebbero finiti in una unica “cassa” e ripartiti poi tra i vari affiliati compresi quelli della costa tirrenica.
Ma quell’inchiesta permise anche di ricostruire ben dodici omicidi e tre tentati omicidi avvenuti nel Cosentino tra il 1979 e il 2008.
Una tesi, in realtà, parzialmente ridimensionata poi dal Tribunale di Catanzaro. Infatti, nel rito abbreviato davanti al gup distrettuale, furono emesse nel luglio del 2013 nove assoluzioni e condanne per più di 145 anni di carcere.
Allora l’accusa, rappresentata sempre dal pm Facciolla, aveva chiesto sei ergastoli e 293 anni complessivi per tutti gli imputati. I condannati ottennero una riduzione di un terzo della pena per aver scelto la procedura abbreviata. Mentre rimane pentente a Cosenza davanti alla Corte d’assise un altro filone che vede alla sbarra 17 persone. Gli stessi protagonisti dei clan dominanti nella zona e incriminati per gli omicidi che in trent’anni hanno insanguinato il capoluogo bruzio e la fascia tirrenica cosentina soprattutto nella stagione della guerra di mafia.
LA DECISIONE DELLA CORTE
Giovanni Abruzzese (la richiesta dell’accusa:17 anni) : anni 15
Paolo Brillantino: anni (la richiesta dell’accusa:12 anni): assolto
Adamo Bruni (la richiesta dell’accusa:6 anni) : anni1 mesi 6
Antonio Buono (la richiesta dell’accusa:13 anni) : anni 3
Giovanna Carratelli (la richiesta dell’accusa:15 anni) : anni 10
Aldo Caruso (la richiesta dell’accusa:10 anni) : anni 4
Valerio Salvatore Crivello (la richiesta dell’accusa:20 anni) : anni10
Giuseppe Curioso (la richiesta dell’accusa:12 anni) : anni 4 mesi 3
Vincenzo Dedato, collaboratore di giustizia (la richiesta dell’accusa: 6 anni) : anni 2 mesi 6
Antonio Ditto (la richiesta dell’accusa:13 anni) : anni 3
Gennaro Ditto (la richiesta dell’accusa: 24 anni) : ergastolo
Stefano Di Vanno (la richiesta dell’accusa: 6 anni) : assolto
Antonio Esposito (la richiesta dell’accusa:assoluzione): assolto
Carmela Gioffrè (la richiesta dell’accusa: 13 anni) : anni 3
Maurizio Giordano, collaboratore di giustizia (la richiesta dell’accusa: 4 anni) : anni 1 mesi 6
Giancarlo Gravina (la richiesta dell’accusa: 17 anni) : anni 7
Luca La Rosa (la richiesta dell’accusa: assoluzione) : assolto
Domenico La Rosa (la richiesta dell’accusa: assoluzione) : assolto
Giuseppe Lo Piano (la richiesta dell’accusa: 20 anni) : anni 11
Alessio Martello (la richiesta dell’accusa: 17 anni) : anni 3 mesi 4
Francesco Martello (la richiesta dell’accusa: 13 anni) : assolto
Mario Martello (la richiesta dell’accusa: 24 anni) : anni 9 mesi 3
Liberato Martello Panno: anni (la richiesta dell’accusa: 13 anni)
Mario Matera (la richiesta dell’accusa: assoluzione) : assolto
Mario Mazza (la richiesta dell’accusa: 20 anni) : anni 15
Umile Miceli (la richiesta dell’accusa: 13 anni) : assolto
Andrea Occhiuzzo (la richiesta dell’accusa: assoluzione) : assolto
Fabrizio Poddighe (la richiesta dell’accusa: 20 anni) : anni 10
Francesco Porco (la richiesta dell’accusa: assoluzione) : assolto
Ilario Pugliese (la richiesta dell’accusa: 15 anni) : anni 3 mesi 6
Alessandro Serpa, (la richiesta dell’accusa: 9 anni): assolto
Gino Serpa (la richiesta dell’accusa: 9 anni) : anni 3
Giuliano Serpa, collaboratore di giustizia (la richiesta dell’accusa: 13 anni) : anni 6 mesi 5
Ulisse Serpa, collaboratore di giustizia (la richiesta dell’accusa: 13 anni) : anni 3
Livio Serpa (la richiesta dell’accusa: 18 anni) : anni 10
Mario Serpa (la richiesta dell’accusa: 15 anni) : anni 20
Nella Serpa (la richiesta dell’accusa: 20 anni) : anni 18
Giuseppe Sirufo (la richiesta dell’accusa: 9 anni) : assolto
Francesco Pino Trombetta (la richiesta dell’accusa: 13 anni) : anni 3 mesi 4
Francesco Tundis (la richiesta dell’accusa: 24 anni) : anni 20 mesi 6
Michele Tundis (la richiesta dell’accusa: assoluzione) : assolto
Pietro Sebastiano Vicchio (la richiesta dell’accusa: 13 anni) : anni 3 mesi 6
A questi si aggiungono ulteriori due imputati – Giuseppe Martello e Luca Bruni – per cui l’accusa aveva formulato la richiesta di non doversi procedere per sopravvenuto decesso
Roberto De Santo
http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/31265-tela-del-ragno,-condanne/31265-tela-del-ragno,-condanne
Paola
Processo “Tela del ragno”, inflitte 27 condanne
12/03/2015
A Nella Serpa “reggente” dell’omonima cosca mafiosa, 18 anni di carcere. È detenuta al 41 bis. Il Tribunale di Paola è rimasto riunito per otto lunghe ore prima della sentenza in camera di consiglio
“Tela del Ragno”, pene dimezzate e tante assoluzioni. Cade per molti imputati il reato principale, quello dell’associazione. Ma nel complesso l’accusa rappresentata dal pm Eugenio Facciolla ha tenuto per i principali indiziati. Un processo storico quello di Paola che ha ricostruito nel corso del dibattimento, durato due anni, un ventennio di ’ndrangheta. Un processo che ha portato sul banco degli imputati le consorterie criminali organizzate del Tirreno cosentino e in particolare i Serpa di Paola. Si chiude così il secondo capitolo di “Tela del Ragno” dopo i riti abbreviati a Catanzaro dove è in corso l’Appello. Il terzo troncone dedicato agli omicidi si tiene invece a Cosenza. È stato il processo in cui il collegio difensivo e l’accusa si sono confrontati senza esclusione di colpi e in cui il pm ha calato tutti gli assi a disposizione in fase preliminare e dibattimentale. Facciolla ha puntato molto non soltanto sulle intercettazioni ambientali ma anche e soprattutto sui pentiti. Sono stati proprio i collaboratori di giustizia ad avvalorare le sue tesi. Una sentenza molto attesa. Il tribunale è gremito fin dal primo pomeriggio, ma il collegio presieduto da Paola Del Giudice entra in aula, dopo otto ore di camera di consiglio attorno alle 20 e 30. Lo storico capo clan, Mario Serpa si becca una delle pena più alte: 20 anni di reclusione. Mentre la reggente Nella Serpa si ferma a 18 anni. Per Francesco Tundis di Fuscaldo invece sono stati chiesti 20 anni e 6 mesi. C’è anche qualche sorpresa come le assoluzioni di Umile Miceli, Paolo Brillantino e Francesco Martello e per i quali il pm aveva chiesto rispettivamente 13, 12 e 13 anni. E tra gli assolti c’è anche Alessandro Serpa per il quale Facciolla aveva chiesto 9 anni. Il giudice inoltre ha dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare applicata nei confronti di Antonio Buono, Giuseppe Lo Piano, Alessio Martello, Umile Miceli, Ilario Pugliese, Mario Serpa Francesco Pino Trombetta e Francesco Tundis limitatamente però per alcuni capi di imputazione e per effetto ne ordina la liberazione se non detenuti per altro. Per Gennaro Ditto invece 18 mesi di isolamento diurno nell’esecuzione della pena all’ergastolo comminata dalla sentenza in corte di Appello a Catanzaro. Per i genitori Antonio Ditto e Carmela Gioffrè la pena è di tre anni. Sono estinti i reati nei confronti di Luca Bruni e Giuseppe Martello (per morte dei due imputati). Diversi gli imputati condannati dal Tribunale di Paola al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituitesi a processo, Regione Calabria, Provincia di Cosenza, comuni di Paola, Amantea, Fuscaldo e San Lucido che liquida in 80mila euro per ognuna delle parti civili. Nutrito il collegio difensivo composto tra gli altri dagli avvocati Giuseppe Bruno, Armando Sabato, Antonio Managò, Federico Sirimarco, Nicola Guerrera, Marcello Manna, Sabrina Mannarino, Gino Perrotta, Antonio Ingrosso, Francesco Sapone, Francesca Lamberti, Giorgio Zicarelli, Antonio Quintieri, Mimmo De Rosa.
Francesco Maria Storino
http://www.gazzettadelsud.it/news//132821/Processo–Tela-del-ragno-.html
Tela del Ragno – Il Pm Facciolla reitera le richieste di pena
marzo 11, 2015
Tra qualche ora sarà emessa la sentenza di primo grado che metterà la parola fine alla parte “paolana” del processo Tela del Ragno.
Ieri, intanto, si è tenuta la requisitoria finale del pubblico ministero, il magistrato che sino ad oggi ha sostenuto le tesi dell’accusa.
Dopo oltre sei ore di requisitoria, Eugenio Facciolla ha concluso l’opera della parte accusatoria, rispondendo alle puntualizzazioni formulate dalla difesa nel corso delle ultime udienze e ribadendo le richieste di condanna già espresse in occasione della sua prima dissertazione.
Iniziata con considerevole ritardo, l’udienza di ieri ha dato modo alle parti di chiarire le reciproche posizioni su questioni di natura giuridica, come ad esempio l’evocato “ne bis in idem” con cui i difensori hanno cercato di ridurre la portata delle accuse a carico dei loro assistiti, perché ridondanti rispetto allo stesso reato (l’espressione latina significa “non due volte per la medesima cosa”). Eugenio Facciolla, per rispondere a questa puntualizzazione, ha fatto ricorso ad una serie di circostanze che – a suo parere – ne dimostrerebbero non solo l’insussistenza, ma rafforzerebbero il convincimento dell’accusa ad intensificare la prosecuzione delle indagini per un altro procedimento in grado di dar forma al “nuovo sodalizio” generatosi dalle ceneri di quello attualmente alla sbarra. «Il richiesto ne bis in idem – ha detto il Pm – non sussiste per totale differenza tra i fatti contestati nel presente processo e quelli pretesi». Un altro argomento su cui Facciolla ha canalizzato il suo intervento, è stato quello relativo alla credibilità dei collaboratori di giustizia, messa spesso in discussione dai legali degli imputati nelle loro arringhe. I “pentiti”, secondo il magistrato, sono stati considerati tali perché hanno portato elementi di assoluta novità rispetto alle indagini condotte. Per rafforzare questo concetto, il Pm ha citato diversi casi, sui quali spicca – in ordine temporale – quello relativo ad Adolfo Foggetti, figura chiave per ricostruire il quadro generale in cui si sono verificati eventi delittuosi come quello, ad esempio, relativo all’omicidio di Luca Bruni. «Il Foggetti narra in particolare di quella rottura venutasi a creare tra i “Bruni” e gli “Zingari” (in particolare con i due fratelli Abruzzese Giovanni e Bruzzese Franco) per un ammanco economico e per il rischio di collaborazione con la giustizia di Luca Bruni, superstite alla prematura scomparsa del fratello Michele deceduto a seguito di grave malattia, come causa scatenante dell’eliminazione del Bruni».
Polemizzando con alcune posizioni difensive, relative alla considerazione attribuita all’interpretazione di alcune sentenze considerate, alternatamente, “buone” o “cattive” a seconda degli esiti per gli imputati, Eugenio Facciolla ha caratterizzato il suo operato come quello di un “novello Erode” che – secondo il parere degli avvocati – starebbe compiendo una vera e propria “strage degli innocenti”. Quindi, per dirimere la “tela”, definita «Foresta Amazzonica predatoria», il magistrato ha reiterato i motivi che lo hanno indotto a credere nella colpevolezza degli imputati, insistendo sulle conclusioni già rassegnate nell’udienza di un mese fa.
http://www.marsilinotizie.it/tela-del-ragno-il-pm-facciolla-reitera-le-richieste-di-pena/
![Bruni-Michele]()
Clicca quì per l’approfondimento sulla requisitoria del PM Facciolla
Tela del Ragno – I nomignoli dei Ditto per distinguere i Serpa
febbraio 13, 2015
Dopo la requisitoria del pubblico ministero, il processo “Tela del Ragno” è ripreso ieri così come era stato anticipato e, dopo le manifestazioni delle parti civili, è toccato alla difesa degli imputati prendere la parola.
Le arringhe difensive sono partite con quelle relative alle posizioni dei collaboratori di giustizia, ad iniziare dai fratelli Giuliano e Ulisse Serpa ed a seguire con Maurizio Giordano, terminando con quella dell’avvocato Zicarelli in merito alla situazione di Antonio Esposito, per il quale Facciolla ha comunque chiesto l’assoluzione.
Per quanto concerne i tre pentiti, gli avvocati hanno sostanzialmente utilizzato gli stessi assiomi, basati sull’applicazione della prescrizione per alcuni dei reati contestati (soprattutto quelli di “minaccia”), sul riconoscimento dell’art. 8 (contenente le norme per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia) da estendere anche negli altri gradi di giudizio e nelle massime modalità previste dalla legge, ed infine sulle “attenuanti generiche”.
Richieste, queste, che i legali degli altri imputati non potranno avanzare, dovendosi disporre a difesa di accuse e richieste di pena pesanti. Tra coloro contro i quali si abbattuta maggiormente la scure di Eugenio Facciolla, figura senz’altro Gennaro Ditto (24 anni e 30.000 € di multa), verso il quale il Pm non ha usato mezze misure. «Non è che Gennaro Ditto risponde per l’omicidio di Tonino Maiorano e basta. Ha rappresentato in quel momento – ha sostenuto il magistrato nella sua requisitoria – non solo l’ala armata, ma l’ala pensante, l’ala criminale di più alto livello che questo territorio potesse esprimere. Luciano Martello gestiva le vacche, gestiva le mucche, come dice qualcuno nelle conversazioni, Mario Scofano beveva, lo chiamavano, dicevano che era un ubriacone e non poteva comandare lui; Ditto Gennaro faceva i fatti, uccideva, ammazzava in maniera spietata e aveva i suoi fedeli accompagnatori».
E proprio tra coloro che lo affiancavano e lo vedevano come futuro boss della città, Gennaro Ditto poteva contare su Rolando Siciliano, giovane misteriosamente scomparso (o per dirla nei termini di Facciolla: «fatto scomparire») nel periodo successivo all’omicidio di Pietro Serpa. Durante le intercettazioni delle sue conversazioni con i genitori, Ditto ha manifestato preoccupazione per il destino di «Celeste» (nomignolo per identificare il giovane amico) insidiato da «Aldo, Giovanni e Giacomo» (nel codice dei Ditto rispettivamente: Giuliano, Livio e Nella Serpa).
http://www.marsilinotizie.it/tela-del-ragno-i-nomignoli-dei-ditto-per-distinguere-i-serpa/
Foggetti indica il nome del killer
20/12/2014
Il nuovo pentito ha fatto ritrovare i resti del boss Luca Bruni scomparso a Rende il tre gennaio del 2012. La vittima uccisa con due colpi alla testa. La fossa scavata il giorno prima
Una storia di raggiri e tradimenti. «Chi ti proporrà un incontro è il traditore!»: lo scrittore Mario Puzone “Il padrino” mise in bocca a don Vito Corleone il più prezioso dei consigli destinato al figlio Michael. Era in atto uno scontro e Tessio, solo apparentemente un fedele amico del mammasantissima, propose un incontro con l’emissario dei nemici. Era una trappola. Chi ha letto il libro sa come andò a finire. In Calabria succedono cose che sembrano ispirate alla fantasia dei grandi autori. Luca Bruni, 42 anni, “reggente” del – l’omonimo clan di Cosenza, uscito dal carcere chiese conto nel dicembre del 2011 del denaro destinato alla sua “famiglia”. Denaro che non era stato ritualmente corrisposto dalle altre consorterie. Mostrò la faccia feroce e pretese delle spiegazioni. I suoi due più fedeli “amici”, Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti, il tre gennaio del 2012 gli comunicarono che i due boss più importanti della provincia all’epoca latitanti – Ettore Lanzino e Franco Presta – volevano vederlo per chiarire ogni cosa. Non era vero. Bruni, però, non poteva immaginarlo. Così accettò l’appuntamento e si mise in auto con i “compari”. Di Foggetti e Lamanna si fidava perché facevano parte da tanto tempo del suo gruppo ed erano stati fedelissimi compagni d’arme del fratello, Michele, morto in carcere per un male incurabile. La vettura si diresse verso un’area di campagna posta in località Saporito di Rende. Appena giunti sul posto, Luca scese dal veicolo e venne fulminato con due colpi di pistola alla testa. Eppoi immediatamente sepolto dentro una buca che era già stata opportunamente preparata. La tomba era pronta da un giorno. A raccontare i retroscena di questa barbara esecuzione è stato proprio Foggetti che, finito in manette nelle scorse settimane per estorsione e indagato per l’omicidio del “reggente”, ha deciso di vuotare il sacco. Ai pm antimafia Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni della Dda di Catanzaro ha confessato tutto facendo persino ritrovare i miseri resti di Bruni nascosti da due anni sotto quaranta centimetri di terriccio e riconosciuti grazie all’orologio che la vittima portava al polso. Foggetti avrebbe tirato pesantemente in ballo il complice indicandolo come il presunto autore materiale del delitto. Daniele Lamanna è peraltro latitante da alcune settimane perché destinatario di un provvedimento di fermo per omicidio (poi non convalidato) e di una ordinanza di custodia cautelare per estorsione fatti notificare dalla procura distrettuale diretta da Antonio Vincenzo Lombardo. Lamanna e Foggetti erano stati indicati come i probabili esecutori dell’assassinio del “reggen – te” già lo scorso anno da Edyta Kopaczynska, cognata di Luca Bruni.
http://www.gazzettadelsud.it/news//121307/Foggetti-indica-il-nome-del-killer.html
TELA DEL RAGNO Il pentito: «Bruni voleva uccidere Mario Scofano»
dicembre 20, 2014
Considerando che l’economia del clan era complementare a quella su cui si reggeva Paola, gli affari più grossi che Giuliano Serpa e suoi sodali potevano permettersi ruotavano tutt’intorno a ciò che era pubblico. Dagli appalti alle ristrutturazioni, fino agli interventi di manutenzione, non c’era opera messa in cantiere che non dovesse dare conto al sodalizio criminale.
Così è stato anche in occasione dei lavori che hanno riguardato la stazione di Paola, un’opera per la quale l’estorsione richiesta ha raggiunto cifre che la ditta, deputata ad eseguire i lavori in subappalto, non poteva permettersi.
«La somma che mio fratello Ulisse, insieme a Giancarlo Gravina, avevano richiesto all’ingegnere che si occupava dei lavori – ha dichiarato il collaboratore di giustizia – ha subito un forte ribasso durante la trattativa condotta presso l’Hotel Ostrica. A quel tempo ero da poco uscito dal carcere e, siccome eravamo nell’imminenza del periodo natalizio, quando l’ingegnere mi portò 20.000 euro sotto casa in una busta, chiamai Ulisse e Giancarlo per dividerli insieme». Proprio in relazione a questi comportamenti, aggravatisi fino a giungere a richieste estorsive persino sull’allora costruendo istituto alberghiero in via Sant’Agata, il Comune di Paola decise di costituirsi “parte civile” nel procedimento che vedeva alla sbarra Mario Scofano, boss che nel 2006 continuava a rappresentare il riferimento “formale” di Giuliano Serpa. «In occasione di quella presa di posizione, inviai a Roberto Perrotta (all’epoca sindaco di Paola, ndr) un “avvertimento”. Siccome stava schierandosi contro Scofano per l’estorsione a Siciliano, una mattina gli facemmo trovare una pallottola sul cofano dell’auto di sua moglie». L’escalation intimidatoria però s’arrestò improvvisamente, perché dal momento dell’avvertimento (Aprile 2006) all’arresto di Giuliano Serpa, scaturito nell’ambito dell’inchiesta “Missing” (Ottobre 2006) fino al pentimento dello stesso “intimidatore” (2007), passò pochissimo tempo.
La solidarietà che l’ex picciotto manifestava nei confronti del suo superiore, non era limitata alla sola interferenza nei confronti dei suoi oppositori istituzionali, bensì s’era già estesa anche all’interno del clan dove qualcuno aveva deciso di farlo fuori. «Michele Bruni era pronto ad uccidere Mario Scofano – ha dichiarato il collaboratore di giustizia – e per farlo era andato a studiarsi tutti i movimenti che lui compieva dal momento in cui smetteva di lavorare. A quel tempo lui era impiegato presso una ditta paolana, il cui titolare si era messo a disposizione per fargli ottenere le agevolazioni necessarie a farlo stare lontano dal carcere. In quell’occasione, insieme a Marcello Calvano, facemmo in modo che l’azione non si concretizzasse». Interrogato dal Pm Facciolla sulla questione, il pentito ha riferito che era usanza – a quel tempo – che l’imprenditore coinvolto nell’assunzione di Scofano, venisse ricambiato con favoritismi culminanti nel monopolio assoluto relativo alle vendite di materiale edile per tutte le ditte che operavano su Paola. Questione per la quale Facciolla ha concluso chiedendo: «Quindi ci guadagnava?»; sentendosi rispondere: «Si, ci guadagnava».
A proposito di guadagni, la storia più curiosa messa in luce da Giuliano Serpa, ha riguardato i festeggiamenti in onore del Santo Patrono della città, occorrenza religiosa che si tramutava in ghiotta occasione estorsiva. «Non abbiamo mai chiesto soldi ai bancarellari – ha detto Giuliano Serpa – perché gli introiti che consideravamo importanti erano quelli delle giostre. A quel tempo, per nostro conto agivano i Foggetti di Cosenza che, in veste di esattori, raccoglievano da ogni giostraio la quota relativa al suo spazio e poi venivano a consegnarcela integralmente a me, Ulisse e Giancarlo Gravina», unici referenti di quel “mercato” esclusivo. «Se capitava l’annata storta – ha concluso l’ex picciotto – e magari il maltempo condizionava la festa, ci accontentavamo di cifre complementari ai giorni di lavoro».
http://www.marsilinotizie.it/tela-del-ragno-il-pentito-bruni-voleva-uccidere-mario-scofano/
Ritrovato il corpo del figlio del boss “Bella Bella”
Pentito svela il luogo: era in casolare nel Cosentino
Luca Bruni era scomparso a gennaio 2012, nell’ambito della guerra di mafia tra le cosche di Cosenza. Pochi giorni fa i carabinieri avevano fermato i presunti assassini e uno dei due ha deciso di collaborare
COSENZA – Quasi tre anni. Tanto è passato dalla scomparsa di Luca Bruni. Il suo corpo non era stato mai ritrovato, fino ad oggi, quando i carabinieri hanno rinvenuto i resti del figlio del boss “Bella Bella”.
La scoperta è stata fatta dai carabinieri del Nucleo Operativo di Cosenza, nei pressi di un casolare ad Orto Matera di Castrolibero, dove è emerso lo scheletro di un uomo. Al ritrovamento si è giunti tramite le dichiarazioni di un nuovo collaboratore di giustizia, che è stato sentito, nei giorni scorsi, dai militari e dalla Dda di Catanzaro. Si tratta di Adolfo Foggetti, 29 anni, fermato il 25 novembre scorso insieme a Maurizio Rango, 38 anni (LEGGI IL FERMO DEI DUE). Entrambi sono ritenuti elementi di spicco del clan della ‘ndrangheta degli “zingari” e responsabili della scomparsa di Luca Bruni, avvenuta il 3 gennaio del 2012.
Il corpo di Bruni, esponente dell’omonimo clan del cosentino, non fu mai ritrovato. Si suppone che i resti rinvenuti siano proprio di Bruni. Luca Bruni, al momento della sua sparizione, era stato da poco scarcerato ed aveva assunto un ruolo di vertice nel proprio gruppo criminale, dopo la morte di suo fratello Michele, tentando una riorganizzazione ed espansione della cosca.
La decisione di espandersi era però in contrasto con gli accordi stabiliti da un “patto” tra la cosca degli “italiani”, capeggiata da Ettore Lanzino, e quella degli “zingari”, con a capo Franco Bruzzese. Bruni aveva anche risentimento nei confronti della cosca capeggiata da Lanzino, che era ritenuta responsabile della morte di suo padre Francesco, conosciuto come “bella bella”. Si suppone che Luca Bruni decise di partecipare ad un incontro al quale pensava sarebbero intervenuti i vertici delle cosche cosentine, Ettore Lanzino e Franco Presta, ora in carcere ma che all’epoca dei fatti erano latitanti. Ma in realtà si sarebbe trattato solo di una trappola ideata per ucciderlo.
giovedì 18 dicembre 2014 22:57
http://www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/732404/Ritrovato-il-corpo-del-figlio-del.html
«A Cosenza ci sono più pentiti che cristiani»
La collaborazione dei Foggetti conferma le parole di Vincenzo Curato. Più di cento ‘ndranghetisti hanno saltato il fosso dal 1986 a oggi
24 Ott 2014
COSENZA ::: «A Cosenza ci sono più pentiti che cristiani». Vincenzo Curato, già fuoriuscito dalle cosche sibarite, usa parole semplici, ma dice una verità. Non a caso, sono più d’un centinaio gli uomini d’onore che, dal 1993 in poi, hanno saltato il fosso, scegliendo di collaborare con la giustizia. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono stati Vincenzo ed Ernesto Foggetti, padre e figlio, provenienti entrambi dal clan “Bella bella”. Loro, come gli altri, vantano un antenato illustre in Antonio De Rose, il primo che, in tempi non sospetti (era il 1986), si presentò dai carabinieri deciso a vuotare il sacco. Non fu creduto, ma ormai era solo questione di tempo.
Nell’ultimo ventennio, infatti, dalla città capoluogo allo Jonio, dall’entroterra e fino al Tirreno, un po’ tutti i gruppi della zona hanno dovuto fare i conti con il bubbone del pentitismo. Fin qui, solo la cosca Muto è risultata immune ai “tradimenti”, ma è un’eccezione che finisce per confermare la regola, considerato che finanche l’impenetrabile malavita rom registrò nel 2001 la diserzione del capo-clan Francesco Bevilacqua. Cosenza città dei pentiti, dunque. E pure di spessore, dato che ancora prima di Bevilacqua, altri leader avevano deciso di voltare le spalle al crimine. E’ il caso di Franco Pino e Francesco S. Vitelli, già a capo delle due bande armate che, negli anni ’80. si contendevano il dominio del capoluogo. Sulla carta, dunque, ce n’era abbastanza da scrivere una verità definitiva su tutte le malefatte compiute nel secolo scorso nella città dei Bruzi e dintorni.
Il primo fu Antonio De Rose: non venne creduto
perché «Cosenza doveva essere un’isola felice»
come disse il boss Franco Garofalo
E invece, mai come a Cosenza, il romanzo criminale registra dei buchi narrativi ormai impossibili da colmare. E’ vero che, seppur tra dubbi e incertezze, il contributo dei pentiti ha permesso di accertare dinamiche e protagonisti delle numerose guerre di mafia combattute sul territorio, ma che dire dell’omicidio insoluto dell’avvocato Silvio Sesti, trucidato nella sua abitazione del 1982? Una macchia difficile da cancellare, proprio come quella rappresentata da un altro caso “eccellente”: l’agguato teso, tre anni più tardi al direttore del carcere Sergio Cosmai. Per quei fatti, è stato condannato il mandante, individuato nel boss Franco Perna. Ma i killer di Cosmai, quelli l’hanno fatta franca. Giudicati e assolti nell’immediatezza dei fatti, i fratelli Dario e Nicola Notargiacomo, non possono essere più processati. Oggi, sono entrambi collaboratori di giustizia. E non solo. Un’ulteriore distorsione è rappresentata proprio dallo spessore criminale di molti dei soggetti in questione. Oltre a Pino e Vitelli, infatti, l’esercito dei pentiti annovera Giuseppe Vitelli, Angelo Santolla e Aldo Acri, ovvero l’intero gruppo di fuoco del clan Perna. Non è un caso, dunque, che al maxi-processo “Missing” celebratosi tra il 2007 e il 2012, a beccarsi le pene più severe siano stati solo i gregari, gli autisti, le staffette. Insomma, i personaggi di contorno.
E va da sé che la patente di inattendibilità, appioppata spesso dai giudici a Pino & co. (vedi box in basso) abbia fatto naufragare alcune inchieste che segnavano il coinvolgimento dei colletti bianchi: il vero cono d’ombra, in riva al Crati, è rappresentato proprio dall’intreccio, mai svelato, tra il crimine e settori della politica, dell’imprenditoria, finanche della magistratura. L’unico a pagare per tutti, è stato l’ex consigliere regionale del Psi, Pino Tursi Prato, mentre l’ex sindaco della città, Giacomo Mancini, finito a suo tempo nel tritacarne giudiziario, ne uscì poi assolto.
Per il resto, solo ombre e misteri destinati a rimanere tali. Proprio come il vaticinio espresso, molti anni addietro, da un altro collaboratore di peso, l’ex santista Franco Garofalo, secondo il quale, «c’era la volontà di far passare Cosenza come un’isola felice. Un posto dove non esisteva la mafia». Parole alle quali, più pentiti che cristiani, non sono riusciti a dare un senso, ma che a distanza di vent’anni, pesano ancora come macigni.
Tutti i guai delle gole profonde. Croce e delizia. Più croce che delizia, forse. Sono i pentiti di ‘ndrangheta a Cosenza. Storia tormentata la loro. Negli ultimi vent’anni, infatti, la genuinità di molti dei “nostri” collaboratori di giustizia è stata messa più volte in discussione. Negli anni scorsi, ad esempio, è capitato all’ex rapinatore Oreste De Napoli, di non vedersi riconosciute, al momento della sentenza, le attenuanti della collaborazione e, più di recente, è toccato a Pierluigi Terrazzano e Roberto Calabrese Violetta inciampare nelle bacchettate dei giudici, con Calabrese che, addirittura, è sospettato di aver continuato a delinquere anche dopo il suo pentimento. In precedenza, invece, Antonio Di Dieco, già padrino di Castrovillari, era stato sorpreso a intrattenere rapporti, anche di tipo economico, con un suo ex picciotto, quel Cosimo Scaglione pure lui transitato, in quel periodo, nelle fila dei collaboratori di giustizia. Sospetti analoghi, però, non avevano risparmiato, vent’anni fa, altri pezzi grossi del Crimine locale come Franco Pino e Umile Arturi. E’ noto, infatti, che i due ebbero modo di incontrarsi più volte durante il periodo della loro collaborazione iniziata a metà degli anni ‘90, e proprio tale circostanza, in seguito, aveva spinto molti giudici a dichiarare «inquinate» le prove d’accusa che poggiavano sulle loro confessioni. Il risultato di questo pasticcio sono state poi le assoluzioni collettive del maxi-processo Luce e quelle registrate nel duplice delitto Nigro-Portoraro. Marco Cribari
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Nella “la bionda” guidava i Serpa
01/10/2014
Sigilli al tesoro della donna-boss. Sequestrati bar, lidi, un albergo e una società beneficiaria di appalti pubblici
Nella “la bionda”. Cinquantanove anni, paolana, in carcere da ventiquattro mesi, questa donna che ha le pupille come scintille è indicata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro come il “reggente” di uno dei clan più antichi e temuti dell’alta Calabria. I Serpa, a Paola, rappresentano da decenni un potere parallelo a quello dello Stato. Un potere che hanno conquistato combattendo guerre di mafia e sopportando in silenzio la galera. Mario Serpa, il capo carismatico della consorteria, è in carcere da vent’anni per omicidio e – così sostiene la pubblica accusa –da dietro le sbarre avrebbe “benedetto” il ruolo apicale della cugina nell’ambito della cosca. Una cosca indebolita dal pentimento di due esponenti di un altro ramo della famiglia, Giuliano e Ulisse Serpa, ma ancora attiva e pugnace lungo tutta la fascia tirrenica cosentina. Intorno a Nella ruoterebbero – a parere del procuratore distrettuale Antonio Vincenzo Lombardo e del pm antimafia Pierpaolo Bruni – interessi variegati legati all’imprenditoria turistica e ricettiva e alla fornitura di servizi agli enti pubblici. Ieri la Guardia di finanza ed i carabinieri hanno sequestrato beni del valore di 11 milioni di euro in esecuzione di un decreto emesso dal Tribunale per le misure di prevenzione di Cosenza (presidente Enrico Di Dedda; Pingitore e Gallo a latere) su richiesta del pm Bruni. I sigilli giudiziari sono stati apposti su appartamenti, quote societarie, polizze assicurative, un bar, due strutture ricettive e un lido il “Jamaica”. Ma c’è di più. Da circa 20 anni –secondo gli inquirenti –una ditta riconducibile alla Serpa agiva in regime di quasi monopolio nell’aggiudicazione di lavori nel settore pubblico. Si tratta della «Clima planet system», operante nel settore dell’installazione di impianti idraulici, che ha ottenuto, per anni, lavori anche dall’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza e dal Comune di Paola. Lavori ottenuti grazie all’affidamento diretto. Un aspetto questo su cui la Dda di Catanzaro e gl’investigatori stanno facendo ulteriori accertamenti. Nel corso del blitz compiuto ieri sono stati pure sequestrati 600.000 euro in contanti. Ma quanto temuta, rispettata e forte fosse Nella “la bionda” prima d’essere arrestata dai carabinieri, l’ha spiegato un killer pentito. Si chiama Adamo Bruno e venne assoldato nel 2007 per eliminare, in cambio di 50.000 euro, vari esponenti del clan Serpa. Alla prima “missione”, tuttavia, l’uomo sbagliò clamorosamente bersaglio uccidendo un incolpevole operaio forestale – Antonio Maiorano – e decise perciò di collaborare con la giustizia. Il sicario racconta di una riunione tenuta dai componenti del clan Martello – Scofano durante la quale molti insistevano perché Nella venisse assassinata prima di chiunque altro perché disponeva di denaro e poteva reclutare “azionisti” da contrapporre al gruppo rivale. I cugini della “bionda”, Ulisse e Giuliano Serpa, indicano la donna come partecipe alle attività della cosca tanto da essere personalmente impegnata nei summit convocati per pianificare attività delittuose come, per esempio, l’omicidio di Luciano Martello, avvenuto davanti a un ristorante di Fuscaldo nell’estate del 2007. Non solo: sempre Giuliano Serpa addebita alla cugina d’aver dato l’ordine di ammazzare Rolando Siciliano, un giovane paolano che riteneva corresponsabile dell’agguato costato la vita al fratello, Pietro, caduto sotto i colpi dei killer nel parcheggio di un albergo della cittadina tirrenica. Il provvedimento di sequestro eseguito da finanzieri e carabinieri si basa sull’assunto che Nella Serpa «abbia condotto in passato e conduca attualmente un tenore di vita superiore alle proprie possibilità economiche». Un’accusa tutta ancora da dimostrare che coinvolge non solo la presunta “reggente” ma pure i suoi diretti congiunti. L’udienza per decidere sulla eventuale confisca dei beni sollecitata dal pm Bruni si svolgerà il 17 dicembre prossimo.
Arcangelo Badolati
http://www.gazzettadelsud.it/news//110560/Nella–la-bionda–.html
I familiari dei Foggetti trasferiti in una località protetta
Vincenzo e il figlio Ernesto stanno collaborando con la giustizia. Al momento avrebbero riferito quello che sanno in merito a fatti di sangue, traffico di droga ed estorsioni
Venerdì, 19 Settembre 2014 13:25
COSENZA Stanno raccontando i fatti di cui sono a conoscenza. Vincenzo Foggetti, 57 anni, e il figlio Ernesto, 26, da alcuni giorni stanno collaborando con la giustizia sulle vicende della criminalità cosentina. I due, nelle scorse settimane, sono stati arrestati dalla polizia stradale di Cosenza, per riciclaggio di auto di grossa cilindrata. Padre e figlio stanno riferendo quello che sanno ai carabinieri del Reparto operativo di Cosenza, guidato dal tenente colonnello Vincenzo Franzese. I Foggetti avrebbero fornito particolari su episodi estorsivi, traffico di droga e di armi, e su alcuni fatti di sangue. Al momento si tratta di colloqui generici. Padre e figlio sono ritenuti collegati al clan degli zingari e a quello capeggiato dal boss Ettore Lanzino, che adesso si trova in regime di carcere duro. Vincenzo ed Ernesto Foggetti hanno rapporti di parentela con i Bruni. Da quanto è trapelato i familiari di Foggetti sarebbero stati trasferiti in una località protetta. Nei prossimi giorni dovrebbero svolgersi i primi interrogatori ufficiali che saranno condotti dai carabinieri e dalla Dda di Catanzaro.
http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/cronaca/item/25354-i-familiari-dei-foggetti-trasferiti-in-una-localit%C3%A0-protetta/25354-i-familiari-dei-foggetti-trasferiti-in-una-localit%C3%A0-protetta
Gli appalti della sanità a società della ‘ndrangheta
Sequestrato l’impero della donna che comanda il clan
Duro colpo alla rete economica del clan Serpa di Paola. Sigilli anche alla società chegestiva le commesse pubbliche dell’Asp per conto della donna che comanda la cosca. E poi bar, hotel e un lido. Indagini per scoprire chi ha affidato i lavori pubblici
Il patrimonio sul quale sono stati posti i sigilli con l’operazione – che è stata denominata “Tramonto” – ha un valore di circa 11 milioni di euro. Ci sono anche le società con le quali, secondo gli inquirenti, la cosca si accaparrava appalti pubblici nella sanità, gestendo le commesse dell’Asp, e sul territorio grazie agli incarichi del Comune di Paola. Proprio su questo aspetto si concentrano ora le indagini.
LA DONNA CHE TIENE IN MANO IL CLAN - Le proprietà sono riconducibili, direttamente o indirettamente, a Nella Serpa, la donna ritenuta la reggente dell’omonima cosca operante a Paola e attualmente detenuta.
Le indagini patrimoniali, coordinate dal procuratore della Dda di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo e dal pm Pierpaolo Bruni, hanno evidenziato che non c’era coerenza tra i bassissimi redditi dichiarati ed il considerevole incremento patrimoniale registrato nell’ultimo ventennio nei confronti di Nella Serpa e del suo nucleo familiare.
La donna è attualmente in carcere dopo essere stata arrestata nell’ambito dell’operazione «Tela di ragno» condotta dai carabinieri di Cosenza sotto la direzione dalla Dda catanzarese per associazione mafiosa, tentato omicidio, detenzione e porto illegale in luogo pubblico di armi da fuoco, omicidio, furto ed estorsione in concorso.
IL MONOPOLIO DEGLI APPALTI PUBBLICI – Tra i beni sottoposti a sequestro, la ditta «Clima planet system» che si occupa di installazione di impianti idraulici che negli anni è riuscita ad ottenere appalti pubblici, anche dall’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza e il Comune di Paola. Lavori ottenuti grazie all’affidamento diretto e in una sorta di effettivo monopolio: un aspetto questo su cui la Dda di Catanzaro ed i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza stanno facendo ulteriori accertamenti sui quali c’è uno stretto riserbo.
SIGILLI A BAR, HOTEL E UN LIDO - Nel sequestro figurano anche 15 tra magazzini di metrature considerevoli e appartamenti, cinque attività commerciali – tra cui un bar, due importanti strutture alberghiere e un frequentatissimo lido balneare situati a Paola - 11 tra automobili e motoveicoli, nonché diverse decine di rapporti bancari. Carabinieri e finanzieri hanno sequestrato anche 600 mila euro in contanti custoditi su conti correnti, depositi bancari, polizze e titoli.
«La sottrazione di tali ingenti ricchezze – hanno sostenuto gli investigatori – priva la ‘ndrina di preziosa linfa vitale per la sussistenza ed il prosieguo delle attività criminose. Da qui il nome dell’operazione Tramonto».
martedì 30 settembre 2014 08:08
http://www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/730113/Gli-appalti-della-sanita-alle-societa.html
I primi verbali della pentita
22/10/2013
Edyta Kopaczynska rivela ai Pm le ragioni che l’hanno spinta a collaborare con la giustizia. Le confessioni sulla scomparsa per lupara bianca del cognato Luca Bruni
Spuntano i primi verbali degli interrogatori resi dalla pentita Edyta Kopaczynska, moglie del defunto boss Michele Bruni. La donna spiega la decisione di collaborare con la magistratura antimafia. «L’intendimento di collaborare è maturato in conseguenza della morte di Michele e, soprattutto, della scomparsa di Luca Bruni, verificatasi il tre gennaio 2012. Da allora non ricevo più nessun sussidio di carattere economico. Prima ricevevo 1000 euro al mese e 1800 di stipendio mensile». La donna aggiunge pure che tre ex uomini del clan del marito si sono «impossessati del denaro che un cugino di Michele gestiva per mio conto facendo usura». La polacca non esita a riferire particolari anche sulla tragica fine del cognato. Il suo è un racconto dal di dentro, basato sulle informazioni giunte alla famiglia Bruni dopo la sparizione del “reggente”. Ecco quanto rivela: «La scomparsa di Luca è stata determinata sicuramente dall’intento di mettere da parte la famiglia Bruni. Luca era l’ultimo del quale si poteva avere paura anche in considerazione che Fabio (l’altro fratello ndr) è, ancora oggi, ristretto in carcere. Già qualche mese prima della scomparsa di Luca – aggiunge la donna – avevo avuto delle avvisaglie di quello che sarebbe successo».
http://www.gazzettadelsud.it/news//66092/I-primi-verbali—della.html
S’è pentita la moglie del boss Bruni
05/09/2013
La polacca Edyta Kopaczynska ha deciso di lasciare il mondo della criminalità organizzata bruzia. Lo scorso anno è stata condannata a 6 anni per associazione mafiosa
La ’ndranghetista venuta dall’Est. Edyta Kopaczynska, condannata a sei anni per associazione mafiosa, è stata la fedele consorte di Michele Bruni, capo dell’omonimo clan, morto per un male incurabile due anni addietro. È di origine polacca, ma non si direbbe. Parla, infatti, il dialetto cosentino e, soprattutto, ha acquisito la mentalità “giusta”. Quella che serve per farsi “rispettare” negli ambienti della ’ndrangheta. Dopo la prematura scomparsa del marito, Edyta è rimasta a Cosenza. Pensava di poter “contare” ancora e di mantenere inalterato lo status di “primadonna”. Non è stato così. Gli “amici”si sono lentamente allontanati scegliendo nuovi “capi”da servire, mentre il “reggente” della cosca, il cognato Luca Bruni, è sparito per lupara bianca il tre gennaio del 2012. Con la sparizione del trentasettenne, Edyta ha capito che era stata di fatto azzerata la consorteria. Una consorteria fondata negli anni ’90 dal suocero, Francesco Bruni, inteso come “Bella-bella”. Per questo la donna, stanca di una vita di lutti e sofferenze, potrebbe aver deciso di collaborare con la giustizia. Da dieci giorni non si hanno sue notizie e non può escludersi che sia stata già affidata alle cure dei pm antimafia Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni due magistrati abituati a non fare sconti alle cosche.
Paola, Tela del ragno: trattative con le cosche
Martedì 19 Marzo 2013 13:40
PAOLA – 19 mar. – Commercianti pronti a prevenire ritorsioni e qualsiasi tipo di problemi con la criminalità. Trattative dirette con le cosche, prima di iniziare la propria attività. E’ quanto emerge dalla nuova inchiesta Tela del Ragno 2, condotta dalla Dda di Catanzaro, che in gran parte richiama l’attività investigativa contenuta nel primo fascicolo della maxioperazione che a marzo dello scorso anno aveva inflitto un duro colpo ai clan della zona.
Negli atti, si legge che esponenti della cosca locale, mediante minacce: “implicite nell’atteggiamento e violenze consistite nel danneggiare con l’incendio i furgoni della ditta si procuravano dalla ditta aggiudicataria dei lavori di ristrutturazione della stazione ferroviaria di Paola, l’ingiusto profitto della corresponsione di somme di danaro imprecisate, e comunque per quanto accertato cinquemila euro in tre tranche, a titolo di protezione”. I clan non solo alle grosse ditte estorcevano somme di denaro, ma anche ad allevatori. E’ il caso di due vittime costrette a corrispondere mille euro per la restituzione di 50 capre rubate in precedenza. Altro caso, quello di un imprenditore edile di Longobardi impegnato con la propria azienda nella realizzazione di un fabbricato privato per civile abitazione, finito anch’egli nel mirino delle cosche nell’ambito del racket delle estorsioni. Una sorta di trattativa tra aziende e ‘ndrangheta.
http://www.miocomune.it/cms/tirreno/tirreno-news/cronaca/6465-paola-tela-del-ragno-trattative-con-le-cosche.html
Guerra di mafia nel Cosentino, reggono le accuse per l’operazione “Tela di Ragno”
Il procuratore aggiunto della Dda, Giuseppe Borrelli, sottolinea l’esito favorevole davanti al Riesame. Venticinque misure cautelari rispetto alle quali l’ordinanza è stata confermata, nove ricorsi completamente rigettati, tre provvedimenti rispetto ai quali i giudici hanno riformato parzialmente le accuse contestate, e ventuno provvedimenti rispetto ai quali l’ordinanza cautelare è stata annullata
CATANZARO – Venticinque misure cautelari rispetto alle quali l’ordinanza è stata confermata, nove ricorsi completamente rigettati, tre provvedimenti rispetto ai quali i giudici hanno riformato parzialmente le accuse contestate, e ventuno provvedimenti rispetto ai quali l’ordinanza cautelare è stata annullata. È questo il quadro che emerge dopo le varie pronunce del Tribunale del riesame di Catanzaro in merito ai cinquantotto ricorsi presentati da altrettanti indagati coinvolti nella maxi operazione contro la ‘ndrangheta battezzata «Tela del ragno», portata a termine a fine marzo dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e dall’Arma dei carabinieri contro sette cosche operanti nell’area del Tirreno cosentino e nel capoluogo, e con interessi in varie regioni d’Italia. Regge bene dunque per il momento l’impianto accusatorio, nel quale sono complessivamente contestati un’impressionante numero di reati che vanno dall’associazione mafiosa, agli omicidi consumati e tentati, all’usura ed all’estorsione. Ciò anche considerato che in alcuni casi il tribunale del capoluogo calabrese è intervenuto sulle misure impugnate solo in virtù del fatto che i reati contestati sono molto risalenti nel tempo e ritenendo dunque non sufficienti le esigenze cautelari. E l’esito delle decisioni dei ricorsi ha suscitato grande soddisfazione alla Dda di Catanzaro, espressa all’Agi dal procuratore aggiunto, Giuseppe Borrelli, che ha sottolineato come abbia «tenuto» un’indagine lunga e complessa, che ha consentito la ricostruzione di una guerra di mafia che ha viste contrapposte, tra il 1999 e il 2004, diverse cosche del cosentino per il controllo delle attività illecite sul territorio, ed in particolare i Lanzino-Locicero di Cosenza – subentrati ai Perna-Ruà – Muto di Cetraro, Scofano-Mastallo-Ditto-La Rosa e Serpa di Paola, Calvano e Carbone di San Lucido, e Gentile-Besalvo di Amantea.
«La maggior parte dei provvedimenti cautelari è stata confermata dai giudici del riesame – ha detto il magistrato – e ciò si unisce al fatto che neppure tutti gli indagati hanno presentato ricorso, e non ultima alla considerazione, che possiamo fare considerate le motivazioni che abbiamo visto fino ad ora, che sia pur quando il quadro indiziario è stato ritenuto valido è stato il tempo trascorso dalla commissione dei reati a portare il tribunale ad intervenire sull’ordinanza. Attendiamo comunque di leggere tutte le motivazioni dei provvedimenti del riesame per l’ulteriore valutazione in merito ai ricorsi in Cassazione. Al momento, comunque – ha concluso Borrelli – siamo ampiamente soddisfatti». Dopo le pronunce del tribunale del riesame, l’ordinanza cautelare è stata confermata per: Mario Attanasio, Pasqualino Besaldo, Romolo Cascando, Domenico Cicero, Valerio Salvatore Crivello, Gennaro Ditto, Guerino Folino, Giancarlo Gravina, Ettore Lanzino, Domenico La Rosa, Giuseppe La Rosa, Vincenzo La Rosa, Pietro Francesco Lofaro, Sonia Mannarino, Alessio Martello, Mario Martello, Fabrizio Poddighe, Ilario Pugliese, Mario Scofano, Gianluca Serpa, Livio Serpa, Mario Serpa, Nella Serpa, Salvatore Serpa, Francesco Pino Trombetta. Ricorso rigettato per: Giovanni Abruzzese, Antonio Buono, Giovanna Caratelli, Antonella D’Angelo, Antonio Ditto, Carmela Gioffrè, Carlo Lamanna, Giuseppe Lo Piano, Umile Miceli. Ordinanza riformata per: Francesco Desiderato (rispetto a tre capi d’accusa), Mario Mazza (rispetto a due capi d’accusa), Francesco Tundis (reato contestato al capo 11 riqualificato con esclusione dell’aggravante della «mafiosità»). Ordinanza annullata per: Natale Alessio, Paolo Brillantino, Luigi Bruni, Paolo Calabria, Sergio Carbone, Aldo Caruso, Giuseppe Curioso, Antonio Esposito, Tommaso Gentile, Giacomino Guido, Luca La Rosa, Daniele Lamanna, Pier Mannarino, Francesco Martello, Mario Matera, Giovanni Neve, Alessandro Pagano, Alfredo Palermo, Luciano Carmelo Poddighe, Fabrizio Rametta, Giuseppe Sirufo.
sabato 09 giugno 2012 13:50
http://www.ilquotidianoweb.it/news/Il%20Quotidiano%20della%20Calabria/351043/Guerra-di-mafia-nel-Cosentino-reggono-le-accuse-per-l-operazione-Tela-di-Ragno.html
Nuovo pentito di ‘ndrangheta
Si tratta di Luigi Bruni. ventisettenne di Paola arrestato lo scorso 30 marzo nell’ambito dell’operazione Tela del Ragno che ha inflitto un duro colpo alle ‘ndrine del Tirreno cosentino. Bruni ha iniziato a collaborare dopo che prima di lui aveva avviato i suoi rapporti con la giustizia anche il padre Gennaro
di ROBERTO GRANDINETTI
COSENZA – Verso la strada della collaborazione. Protagonista Luigi Bruni, 27 anni di Paola (Cs), coinvolto nell’operazione “Tela del Ragno” dello scorso 30 marzo, quando fu cioè assestato un duro colpo alla criminalità organizzata gravitante nel Tirreno cosentino. La notizia del suo pentimento è stata di fatto ufficializzata ieri dal procuratore generale Eugenio Facciolla, della Procura di Catanzaro, tra i titolari dell’inchiesta coordinata dalla Distrettuale Antimafia, prima che si procedesse, dinanzi ai giudici del Tribunale della Libertà, coi Riesami di alcuni imputati. Facciola ha depositato una serie di nuovi documenti d’indagine, tra cui il verbale riassuntivo delle dichiarazioni rese proprio dal giovane Bruni. La curiosità è che era stato da poco rimesso in libertà dal Riesame di Catanzaro. Poche settimane fa stessa decisione fu presa dal padre Gennaro, 56 anni, i cui verbali sono già in mano agli addetti ai lavori. I due si sono ora affidati all’avvocato Capparelli, del foro di Castrovillari, che difende proprio i collaboratori di giustizia.
Lo scorso 30 marzo Luigi Bruni era stato tratto in arresto dai carabinieri con l’accusa di essere tra gli “azionisti del clan in occasione di danneggiamenti e atti intimidatori funzionali alle finalità illecite dell’associazione, nonchè nelle attività di supporto nella consumazione di agguati mafiosi contro esponenti del clan avverso”. La Dda di Catanzaro cita ad esempio l’omicidio di Luciano Martello, ucciso a Fuscaldo il 12 luglio del 2003, nel quale il padre Gennaro figura tra coloro i quali avrebbero preso parte alla fase esecutiva.
mercoledì 25 aprile 2012 08:37
http://www.ilquotidianoweb.it/news/Il%20Quotidiano%20della%20Calabria/350162/Nuovo-pentito-di–ndrangheta.html
La violenza delle ‘ndrine finite nella “tela del ragno”: ucciso e fatto a pezzi con la motosega
Il collaboratore di giustizia racconta la macabra scomparsa di Rolando Siciliano. Sono 63 le ordinanze di custodia cautelare contro gli esponenti delle cosche della provincia di Cosenza, colpite anche diramazioni in Lazio, Lombardia e Veneto. Il magistrato: «Dopo 30 anni ristabilita la legalità»
COSENZA – Una spirale di violenza che ha insanguinato la provincia di Cosenza, su cui ha fatto luce l’operazione “Tela del ragno”, portata a termine dai carabinieri di Cosenza. E’ dalla corposa ordinanza che ha portato in carcere 63 persone (5 ancora irreperibili), emergono fatti inquietanti. Come l’omicidio di Rolando Siciliano, assassinato il 20 maggio 2004. A raccontare tutto agli inquirenti è il collaboratore di giustizia Giuliano Serpa, e le parole sono drammatiche: “Fu ucciso da Tundis Francesco, Mazza Mario e Poddighe Fabrizio, a colpi di pistola”. Il cadavere “venne poi fatto a pezzi con una motosega” e occultato. Ma a tutt’oggi non si sa dove sono finiti i resti. E’ così che le cosche si facevano giustizia, dunque.
Alla fine degli anni Novanta le cosche cosentine tornano a influenzare quelle della costa tirrenica, costituendo una nuova organizzazione finalizzata a commettere crimini mettendo una pietra sopra su ogni conflittualità del passato, compresa l’eliminazione dei cosiddetti scissionisti, Marcello Calvano, Vittorio Marchio, Francesco Bruni e Antonio Sena. Principale obiettivo l’attività estorsiva da estendere all’amministrazione pubblica.
Tutti i proventi illeciti dovevano essere versati in una cassa comune e divisi tra gli affiliati della nuova consorteria, guidati dal “capo zona” Mario Scofano. Ma qualcosa non funzionò come previsto, non tutti versavano i soldi nella cassa del clan. Una situazione che diede fastidio a Giuliano Serpa, il quale si staccò insieme al fratello Ulisse e a Giancarlo Gravina e formò un nuovo gruppo, che operò in altra fetta di territorio, ma in maniera pacifica con quello di Scofano. La tranquillità non durò però molto, forse anche per le nuove alleanze, e scaturì un’altra guerra di mafia che vedeva contrapposti gli Scofano – Martello e i Serpa Bruni.
Omicidi e tentati omicidi si susseguirono, tra cui, come accennato, l’uccisione di Rolando Siciliano, legato agli Scofano – Martello e che poco prima della sua scomparsa si era avvicinato ai Tundis, del gruppo dei Serpa, in particolare a Franco Tundis, amico di suo zio Romeo Calvano. Il trentenne fu prelevato e condotto nelle montagne di Fuscaldo. Il collaboratore racconta quindi che qui venne ucciso dopo che rilevò gli esecutori dell’omicidio di Pietro Serpa, avvenuto poco tempo prima.
L’OPERAZIONE. «Dopo 30 anni si è ristabilita la legalità» ha affermato il sostituto procuratore generale di Catanzaro Eugenio Facciolla, applicato alla Dda per coordinare l’inchiesta che, ha affermato il magistrato «è una grande operazione che disarticola alcune pericolose consorterie criminali».
Nell’inchiesta, denominata “tela del ragno” sono indagate complessivamente 250 persone. Gli arresti sono stati eseguiti oltre che in Calabria, anche nel Lazio, in Lombardia ed in Veneto, con la partecipazione di 500 militari dell’Arma, supportati da elicotteri e da unità cinofile.
Le cosche che sono state colpite sono Lanzino-Cicero di Cosenza (subentrata a quella dei Perna-Ruà), Muto di Cetraro, Scofano-Mastallo-Ditto-La Rosa e Serpa di Paola, Calvano e Carbone di San Lucido, Gentile-Besalvo di Amantea.
Tra gli arrestati ci sono anche gli autori e i mandanti di diversi omicidi che hanno insanguinato il Cosentino nell’ambito di una guerra di mafia che ha visto tra il 1999 e il 2004 i clan locali contendersi il controllo del territorio. In particolare sono stati ricostruiti 12 omicidi e tre tentati omicidi.
Ma tra le attività dei clan c’erano anche usura ed estorsioni. E secondo le indagini, coordinate dalla Dda di Catanzaro, la rete dei boss era riuscita a infiltrarsi anche in numerosi appalti pubblici della provincia, specie nella zona tirrenica. Su tutti, quelli relativi alla stazione ferroviaria di Paola, ma c’è anche un capitolo relativo alla Salerno Reggio Calabria. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati anche beni per un valore di 15 milioni di euro.
Durante la conferenza stampa, il sostituto procuratore generale ha rivolto un appello ai cittadini: «Devono collaborare, devono avere fiducia nelle forze dell’ordine e della magistratura. Le risposte ci saranno come ci sono oggi». Il magistrato ha proseguito facendo esplicito riferimento ai commercianti, agli imprenditori e alle altre vittime della prepotenza mafiosa.
venerdì 30 marzo 2012 08:55
http://www.ilquotidianoweb.it/news/Il%20Quotidiano%20della%20Calabria/349665/Scacco-alle-cosche-del-Tirreno-cosentino–Decine-di-arresti-in-tutta-Italia.html
Il miraggio di una “locale” provinciale
minato dalla corsa agli appalti
L’obiettivo dei clan era garantire una pax mafiosa e trovare un equilibrio nella gestione degli affari: per questo furono eliminati i dissidenti. Ma i lavori pubblici hanno creato dissidi tra i clan
Ad avviare il progetto di pacificazione, sul finire degli anni ’90, secondo le indagini, è stata la cosca Lanzino – Cicero, facente capo ai boss storici Gianfranco Ruà e Francesco Perna. L’obiettivo era costituire una «locale» con competenza provinciale, composta da più ‘ndrine attive sul territorio, per accentrare la gestione degli interessi sulla realizzazione di alcune opere pubbliche, superando le conflittualità interne, anche attraverso l’eliminazione dei soggetti che si opponevano. Eliminati i dissidenti, fra i quali Vittorio Marchio, Marcello Calvano, Francesco Bruni e Antonio Sena, i Lanzino-Cicero indicarono come referenti, sulla costa tirrenica, Mario Scofano a Paola, Sergio Carbone a San Lucido, Tommaso Gentile e Pasqualino Besaldo ad Amantea, stabilendo un’alleanza con i Muto di Cetraro. Si è formata così una nuova compagine allargata con gli Scofano, i Martello i Serpa ed i La Rosa. I proventi illeciti confluivano in una cassa comune, detta «bacinella». Il nuovo assetto provocò lo scontro con il nascente gruppo degli Imbroinise, il cui capo, Salvatore, fu ucciso il 13 marzo 2000. La cosca capeggiata da Mario Scofano assunse così la gestione di tutte le attività illecite. Ma nuovi attriti si verificarono ben presto tra Scofano e Giuliano Serpa, superati con una sorta di tregua armata. Un nuovo scontro ben più profondo si verificò il 19 dicembre 2002 con il tentato omicidio, a Paola, di Giancarlo Gravina, legato a Giuliano Serpa, ad opera della cosca Scofano-Martello-La Rosa-Ditto.
Ne nacque un violento conflitto tra la stessa consorteria e i Serpa che nel frattempo si erano alleati con i Bruni di Cosenza, con Francesco Tundis di Fuscaldo e Pasqualino Besalto di Amantea che portò a quattro delitti ed a due tentati omicidi. Le perdite subite sia per lo scontro che per gli arresti, portò a nuovi assetti tra le cosche; all’omicidio di Stefano Mannarino, ucciso a Paola il 25 ottobre 2008; al ruolo centrale di Mario Serpa che, dalla semilibertà, riprese il controllo. Tra gli omicidi su cui è stata fatta luce ce ne sono anche due «storici», quello di Giovanni Serpa, ucciso a Paola l’11 settembre 1979 durante la prima guerra di mafia, e quello di Alfredo Sirufo, ucciso a Paola il 17 dicembre 1993, nell’ambito di una faida sorta all’interno della cosca Serpa.
venerdì 30 marzo 2012 13:32
http://www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/349676/Il-miraggio-di-una–locale.html
Cosenza: operazione “Tela del ragno” i nomi dei 58 arrestati
30 marzo 2012
Sono in tutto 58 le persone arrestate questa mattina dai carabinieri del comando provinciale di Cosenza in collaborazione con il Ros e il nucleo Cacciatori di Vibo Valentia. Tre destinatari sono risultati irreperibili, altri due sono morti recentemente. L’accusa per tutti è di associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio, porto abusivo di armi da fuoco, materiale esplodente, estorsioni e usura. Nell’indagine oltre agli arrestati ci sono anche altre 190 persone che risultano indagate a piede libero. Alcuni amministratori locali saranno sentiti, già nelle prossime ore, dai magistrati della Dda di Catanzaro. Con questa indagine i carabinieri sono riusciti a ricostruire una serie di delitti in una arco temporale di oltre trent’anni, che hanno disegnato le nuove mappature delle ‘ndrine della provincia di Cosenza. Al centro dell’attività investigativa, anche una pax mafiosa dei clan coinvolti che avrebbe consentito le infiltrazioni delle cosche più potenti negli appalti pubblici nei territori di competenza.
Diciannove immobili, nove società, sedici automobili, quattro moto: sono questi i beni sequestrati, per un ammontare di 15 milioni di euro, ai sette clan coinvolti nell’operazione “la tela del ragno” dei carabinieri del comando provinciale di Cosenza. Nel mirino della Dda di Catanzaro, capi e gregari di clan operanti nel capoluogo e sul tirreno cosentino. Cinquantotto le ordinanze eseguite su 63 emesse.
Gli arresti: Gennaro Bruni, 16/01/1956, Residente Paola; Luigi Bruni, Il 07/05/1985; Antonio Buono, 08/12/1964; Paolo Calabria, 05/05/1979 tutti di Paola; Giovanna Caratelli 14/08/1971, di Roma; Sergio Carbone, 25/10/1958 di San Lucido; Aldo Caruso, 11/04/1980; Romolo Cascardo, 01/02/1945, entrambi di Paola; Valerio Salvatore Crivello, 27/09/1979, residente Preganziol (Tv); Giuseppe Curioso, 12/09/1979 di Paola; Antonella D’angelo, 17/01/1961, di Roma; Francesco Desiderato, 03/10/1988, residente a Fuscaldo; Antonio Esposito, 27/01/1956, di Fuscaldo; Guerino Folino, 31/07/1967, nato a Paola residente a Dorno (Pv); Giacomino Guido, 24/06/1967, di Amantea; Giuseppe La Rosa, 06/11/1980; Luca La Rosa, 18/09/1978, entrambi di Paola; Vincenzo La Rosa, 09/01/1957, nato a Paola residente a Roma; Daniele Lamanna, Nato 03/05/1974, di Cosenza; Giuseppe Lo Piano, 09/12/1967, di Fuscaldo; Pietro Francesco Lofaro, 02/04/1982, residente a Paola; Pier Mannarino, 18/07/1980, residente Amantea; Sonia Mannarino, 09/02/1964, Paola; Alessio Martello, 18/06/1990, Fuscaldo; Francesco Martello, 24/09/1988, Fuscaldo; Mario Matera, 18/08/1981, San Lucido; Mario Mazza, 18/07/1984, Fuscaldo; Giovanni Neve, 25/02/1972, Fuscaldo; Alfredo Palermo, 21/05/1983, Paola; Fabrizio Poddighe, 04/11/1978, Fuscaldo; Luciano Carmelo Poddighe, 13/12/1981, Fuscaldo; Ilario Pugliese, 12/11/1982, Paola; Fabrizio Rametta, 20/12/1972, Amantea; Gianluca Serpa, 24/03/1975, Paola; Livio Serpa, 23/09/1967, Paola; Mario Serpa, 30/01/1953, nato a Paola semilibero Presso Casa Circondariale Pavia; Nella Serpa, 14/07/1955, Paola; Francesco Pino Trombetta, 07/04/1984, Fuscaldo; Giovanni Abruzzese, 23/07/1959, di Cosenza detenuto presso casa circondariale Parma; Natale Alessio, 25/12/1974, detenuto presso casa circondariale Cosenza; Mario Attanasio, 01/05/1972, detenuto presso casa circondariale Cosenza; Pasqualino Besaldo, 11/06/1966, nato ad Amantea detenuto presso casa circondariale Ascoli Piceno; Michele Bloise, 02/03/1975, nato a Laino Borgo detenuto Presso Casa Circondariale Roma Rebibbia; Domenico Cicero, 28/07/1957, nato a Cosenza detenuto presso casa circondariale Viterbo; Antonio Ditto, 03/04/1950, nato a Seminara (detenuto Presso Casa Circondariale Napoli Secondigliano; Gennaro Ditto, 21/09/1976, nato a Paola detenuto Presso Casa Circondariale Messina; Tommaso Gentile, /02/1958, nato ad Amantea detenuto Presso Casa Circondariale Parma; Carmela Gioffrè, 01/04/1954, nata a Seminara detenuta Presso Casa Circondariale Taranto; Giancarlo Gravina, 17/05/1965, nato a Cosenza detenuto Presso Casa Circondariale Vibo Valentia; Domenico La Rosa, 12/03/1955, nato a Paola detenuto Presso Casa Circondariale Melfi; Carlo Lamanna, 16/10/1967, nato a Cosenza detenuto Presso Casa Circondariale San Gimignano; Mario Martello, 25/01/1976, nato a Paola detenuto Presso Casa Circondariale Volterra; Umile Miceli, 26/05/1966, detenuto Presso Casa Circondariale Cosenza; Mario Scofano, 21/03/1960, nato a Paola detenuto Presso Casa Circondariale Palermo; Salvatore Serpa, 15/04/1987, Detenuto Presso Casa Circondariale Cosenza; Giuseppe Sirufo, 05/04/1983, detenuto Presso Casa Circondariale Cosenza; Francesco Tundis, 04/02/1968, detenuto Presso Casa Circondariale Cosenza; Pietro Sebastiano Vicchio, 31/07/1979, nato a Siracusa detenuto Presso Casa Circondariale Rossano.
http://www.cn24tv.it/news/44352/cosenza-operazione-tela-del-ragno-i-nomi-dei-58-arrestati.html
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